Ciò che ‘fa’ testo

Mettere a tema il terreno nel quale esercitiamo la comunicazione è una scelta necessaria per ogni individuo, per il quale l’azione del comunicare è connotato indispensabile del proprio ‘essere umano’. Tale azione coinvolge inoltre, per alcuni di noi, anche il profilo professionale. Non a caso, negli ultimi anni si assiste ad un fiorire – e spesso ad un abuso! – del termine ‘storytelling’ nell’ambito del marketing e del branding, intendendo con esso una declinazione ed un utilizzo della narrazione rivolti a perseguire una efficacia professionale.

La rivoluzione digitale appartiene ormai al passato ed è quindi opportuno, adesso, giudicare l’ambiente che è stato creato dagli input provenienti da una modalità di interazione sociale che fu altro rispetto alla parola, alla scrittura, alla radiotelevisione.

In “Letteratura e metafore della realtà”, Marshall McLuhan – ‘padre’ delle moderne scienze della comunicazione – chiarì senza ombra di dubbio come ognuno dei testi della letteratura mondiale sia stato un atto – poetico, non intellettivo come la metafora linguistica – che ha posto in analogia due realtà afferenti a due linguaggi diversi. Ognuno dei testi che appartengono perciò alla nostra storia culturale rimanda ad un ben definito paesaggio, localizzato nello spazio e nel tempo: ogni testo è radicato nel proprio contesto storico-culturale.

Qualsiasi discorso noi facciamo (l’oralità, la scrittura, un podcast oppure un reel di Instagram), noi lo creiamo all’interno di un mezzo di comunicazione ben definito; esso è perciò metafora della nostra realtà e crea il contenuto della nostra cultura. Ciò significa che la forma mediante la quale sono espresse le idee esercita un’enorme influenza su ciò che saranno le idee stesse.

[non a caso, la figura del content creator ha progressivamente assunto – nel corso degli ultimi anni, soprattutto nell’ambito della comunicazione social – una interessante rilevanza professionale]

“Ogni grande periodo della civiltà è dominato da una certa idea particolare, secondo cui l’uomo si modella sull’uomo. Il nostro comportamento dipende non meno da questa immagine che dalla nostra stessa natura: un’immagine che appare con sorprendente chiarezza nelle menti di alcuni pensatori particolarmente rappresentativi, e che, più o meno inconscia nella massa umana, è tuttavia abbastanza forte da plasmare secondo il suo proprio modello le formazioni sociali e politiche che sono caratteristiche di una data epoca culturale” (J. Maritain, 1947)

Se è vero tutto ciò, quale possiamo affermare sia la poetica millennial? Dobbiamo riuscire a scovarne le tracce (nell’uso dei social a scopo personale e privato, nell’evoluzione della comunicazione aziendale, nel personal branding), in modo da poter comprendere come il medium digitale la stia esprimendo e come ne sia da essa plasmato. Se, negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, radio, televisione, fotografia e cinema ridussero gli ‘imperi della parola scritta’ a ciò che venne definito il ‘villaggio globale’, che cosa possiamo dire del digitale? 

Che idea di persona conducono con sé le comunicazioni istantanee tipiche di tale medium?

Se la pagina stampata portò all’avvento della figura dell’erudito solitario – e la conseguente scissione tra letteratura e vita – che cosa possiamo dire della pagina di questo blog? E del feed di un social medium?

Dove sono andati a migrare i concetti di autorevolezza e verità, strettamente implicati nelle aree dell’identità e della conoscenza?

Potremmo infatti dire che l’incessante attività mentale dell’Uomo è – oggi come ai tempi dei primi racconti orali o degli affreschi di Giotto – quella di ricreare in se stessi il mondo esteriore. Un continuo esercizio nel quale la realtà viene ri-plasmata: è il processo creativo, quello della poiesis. Il ‘noi stessi’ scaturisce dalla percezione che abbiamo della realtà (gli eventi, le esperienze, gli incontri che facciamo), dalla sua interiorizzazione, e dalla sua ri-creazione in nuova materia. Questa nuova sostanza, diversa istante per istante, è ciò che potremmo definire la nostra identità. 

Appare quindi necessario rendersi conto che le modalità attraverso le quali si effettua questa ri-creazione, questa attività poetica, sono indissolubilmente legate agli strumenti che utilizziamo per dare vita al ‘noi stessi’. 

L’acquisizione della nostra identità dipende dalle narrazioni che compiamo e dalle scelte narrative che adottiamo, a seconda del medium nel quale decidiamo di raccontarci.

Oltre all’identità, esistono altri concetti intellettuali – che creiamo quindi nella nostra mente – che definiscono i connotati della cultura alla quale apparteniamo?

Sicuramente quello di informazione. Ma più interessanti, forse quelli di tempo e di racconto (inteso come logos, discorso sulla realtà). Vi è però un termine che abbraccia tutte le ‘creazioni culturali della mente’, e che quindi definisce in senso complesso il rapporto che abbiamo di rappresentazione della realtà: testo.

Interessante sarà allora andare alla ricerca di ciò che è testo, in questa terza decade del XXI secolo. Quali sono i contorni, gli effetti, le sfumature di quella struttura articolata che ha come scopo – all’interno del mondo digitale così come accadeva nel mondo delle tavolette d’argilla – quello di attestare la realtà?

Volete seguirmi in questo viaggio intorno al testo digitale?

Photo credit: Georgia de Lotz on Unsplash

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