Vita, storia e destino.

Una vita che inizia e che, inevitabile, si chiuderà.

Una storia che si apre e della quale poi leggeremo la parola “fine”.

Un destino ineluttabile, scritto da altri e che per noi si compie.

“non è che accadano a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute ciascuno le interpreta disponendole secondo un senso, vale a dire, un destino”

C. Pavese, Il mestiere di vivere

Chi siamo e come decidiamo di agire risente dell’influenza delle storie che raccontiamo a noi stessi e di come decidiamo di raccontarle. Nel dialogo incessante che costantemente avviamo tra la nostra coscienza presente e la memoria degli eventi passati, ri-creiamo il contesto nel quale la nostra identità si definisce. Purtroppo, accade spesso che siamo così abituati ad inserire gli eventi singoli in una (inconsciamente) predeterminata sequenza, da generare relazioni causa-effetto che sono soltanto nostre interpretazioni: “sono così insicura che era ovvio che sbagliassi anche questa volta..”. 

Perché esistono persone che interpretano ogni evento che irrompe nella loro vita secondo la prospettiva del ‘fallimento’? Perché abbiamo tutti bisogno – tutti, prima o poi.. – di qualcuno che racconti a noi stessi la nostra storia?

Il romanzo più riuscito spesso si allontana da una narrazione cronologicamente coerente, e non sempre gli eventi passati si scoprono causa di quelli presenti; una storia ‘ben narrata’ può tralasciare un’infinità di dettagli su ambiente e personaggi, mettendo in risalto soltanto quello che l’autore decide sia meritevole di far emergere dall’indifferenza delle mille informazioni.

Perché allora il ‘racconto della nostra vita’ non dovrebbe essere meritevole di essere ri-scritto, in modo da aprirci ad un futuro florido invece di farci avvizzire nell’aridità di un finale già deciso?